Martedì 2 ottobre a Roma, presso l’Università Luiss è stato  presentato il volume I numeri da cambiare: scuola, università e ricerca. L’Italia nel confronto internazionale, nato dalla collaborazione tra l’Associazione TreeLLLe e la Fondazione Rocca.

Ispirato alla filosofia del “conoscere per decidere”, il testo propone un’analisi quantitativa su un ampio e variegato numero di indicatori quale stimolo a  una successiva analisi qualitativa, indicandone anche possibili linee di sviluppo attraverso alcune cruciali questioni aperte.

Suddiviso in quattro sezioni (Contesto generale, Scuola, Università e formazione permanente, Ricerca, nuove conoscenze e innovazione),  presenta certamente un alto grado di interesse per i suoi destinatari privilegiati,  decisori pubblici locali e nazionali, parti sociali, giornalisti e opinion leader, docenti universitari, insegnanti e dirigenti scolastici.

Il valore dei numeri ma anche la loro relativizzazione è evidente fin dalla domanda e dalle risposta iniziali: “Allora, se l’istruzione e l’educazione dei giovani e degli adulti richiede alla comunità notevoli investimenti, c’è da porsi una questione decisiva:

Quanto costa l’ignoranza?

Numerosi studi confermano che si tratta di costi individuali (esclusione, precarietà, insicurezza, sudditanza); costi sociali (spese per la salute, criminalità, democrazia poco partecipata); costi economici (bassa produttività, scarsa innovazione, basso livello di sviluppo).”

E così, incisivamente veniamo coinvolti in questo problema tanto denso di numeri quanto di questioni culturali e sociali!

Gli autori riconoscono indubbiamente  ai decisori pubblici del nostro Paese uno sforzo poderoso per recuperare un ritardo storico rispetto ad altri Paesi europei, ricordando come negli anni 50 circa il 60% degli italiani fosse privo di licenza elementare e che tuttora quasi la metà della popolazione (24-65 anni) possiede al massimo la licenza media. Ma subito avvertono che il livello di istruzione e di conseguenza il livello di capitale umano della popolazione italiana è tutt’ora tra i più bassi dell’Unione Europea, come si evidenzia dall’analisi degli indicatori selezionati, con il possibile verificarsi di tre emergenze: il rischio di uscita dal novero dei paesi ad alto sviluppo (emergenza economica), da quello dei paesi avanzati (emergenza  culturale), infine il rischio di una popolazione poco informata e facilmente manipolabile (emergenza democratica).

Sul piano del rapporto tra istruzione, formazione e lavoro, viene segnalata un’altra emergenza, evidenziata da una ricerca del CEDEFOP (European center for the development of vocational training): nel 2020, a fronte della richiesta di maggiore specializzazione e qualificazione, se non si agisce in tempo l’Italia sarà uno dei paesi con la più alta quota di forza lavoro a basso livelli di qualificazione (37% contro la media UE del 19,5%) e segnerà una carenza fortissima di forza lavoro altamente qualificata (solo il 17,5% contro il 32% della UE).

Si tratta di un problema molto serio, che Il Sole 24 ore del 22 settembre , anticipando l’uscita di questo volume, aveva incisivamente identificato come “ spread educativo”,  meno noto ma non meno insidioso dell’altro quotidianamente citato dai mass media. Esso  consiste principalmente nel differenziale tra i due paesi rispetto alla formazione di forza lavoro qualificata corrispondente alle richieste del mercato: in Italia  la percentuale di diplomati e laureati di questo tipo è bassa,  mentre in Germania è molto più alta. La causa principale di questo spread si può identificare nel fatto  che  in Italia, a differenza che in Germania, l’education, cioè il mondo dell’istruzione (dalla scuola elementare all’università) e il mondo del lavoro sono entità ancora troppo separate e non sono sufficientemente diffuse le esperienze di Alternanza Scuola Lavoro, di Stage e di Tirocinio.

Il volume lo evidenzia chiaramente a proposito dell’istruzione post-secondaria in Italia, dove sussiste tuttora una grave carenza di offerta di istruzione universitaria e soprattutto non universitaria a carattere professionalizzante e legata al mondo del lavoro. Invece in Germania, sistema economico che tra l’altro ha molti punti in comune con il nostro, a cominciare dal manufatturiero,   il sistema “duale” permette una formazione post-secondaria non universitaria di eccellenza grazie alle Fachhochschulen (2-3 anni). Queste università delle scienze applicate sono fortemente collegate alla dimensione del lavoro, nella logica di una maggiore corrispondenza tra la domanda e l’offerta.
Non basta a consolarci il fatto che, nel nostro Paese, le Regioni settentrionali patiscono meno questa carenza, con una maggior creazione dei nuovi poli formativi non universitari (ITS) rispetto alle regioni meridionali.

L’uscita – quasi contemporanea alla ricerca qui descritta – dello Schema di Regolamento recante linee guida su istruzione tecnica e professionale con il quale il 26 settembre lo Stato, le Regioni e le Autonomie locali hanno raggiunto un’intesa per dare  attuazione all’articolo 52 della legge n.35/2012, è un passo avanti ma, anche a giudicare dai rilievi critici dell’ADI, non incide sui punti critici che rendono ancora inadeguata l’istruzione professionale in Italia.

Il volume I numeri da cambiare tocca anche un altro nodo problematico, che si collega sia alla questione or ora trattata sia all’altra altrettanto grave dell’abbandono scolastico, sottolineando, in modo un po’ troppo decisamente tranchant (anche perchè tra gli indicatori proposti a dire il vero non ve ne sono di specifici sugli aspetti qui di seguito riportati), che “ l’Italia è l’unico paese europeo in cui l’apprendistato, la formazione professionale e l’alternanza scuola-lavoro, facendo parte da poco tempo dell’ordinamento scolastico, non sono di fatto praticati.” E proponendo una domanda cruciale  “Non è questa una strada maestra (positivamente attuata in altri paesi europei) per ridurre gli abbandoni?”.

Pur permanendo il problema di fondo, occorre fare le opportune distinzioni. Vi sono contesti in Italia infatti ai quali questa affermazione non è applicabile toutcourt. Prendiamo solo a titolo di esempio il contesto veneto per l’Alternanza Scuola Lavoro, che ha rappresentato in questi ultimi cinque anni un ambiente attivo di interazione tra il mondo della scuola e quello del lavoro oltre che un dinamico laboratorio della didattica per competenze: si tratta di una buona pratica che va proposta e confrontata con altre esistenti proprio allo scopo di cambiare i numeri… innovando i principi e le pratiche!

Tra le questioni  aperte emergenti dall’analisi ve ne è un’altra che vogliamo citare, relativa ai positivi risultati degli apprendimenti rilevati dalle indagini PIRLS sulla scuola primaria, di contro a quelli meno positivi ottenuti dagli allievi italiani delle scuole secondarie di primo e secondo grado nelle comparazioni internazionali (TIMSS-IEA e PISA-OCSE). Da puntualizzare a dire il vero che non viene contemplata nel libro l’eccezione rappresentata nei test OCSE-PISA dai risultati degli allievi italiani dei licei, che si attestano su una buona media a differenza di quelli degli altri Istituti secondari di secondo grado (anche per l’incidenza sulla qualità degli apprendimenti delle variabili di carattere sociale legati al livello culturale della famiglia di provenienza).

La domanda che viene posta dagli autori dell’analisi è a nostro avviso cruciale: “In che misura sui risultati degli studenti italiani incidono gli ordinamenti e i curricula in vigore, basati sulla continua espansione delle “conoscenze” (tendenza all’enciclopedismo) piuttosto che sull’acquisizione di “competenze di base” (key competences) che devono resistere all’oblio dei programmi scolastici?”

La strada dell’innovazione è ancora in salita, ma non ci scoraggiamo: non mancano anche alla scuola secondaria ricerche, progetti e buone pratiche relativi a nuovi curricoli imperniati sulle competenze chiave e su una didattica più attiva e coinvolgente per gli studenti: occorre valorizzarli e sostenerne la conoscenza e la diffusione, in modo che, insieme ai principi ispiratori e alle pratiche, anche i numeri possano cambiare!

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